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Cronaca Collatino / Via Salviati

Piano Nomadi, a Roma est è un fallimento. Via Salviati ostaggio dei Rom

Il piano della giunta Alemanno prevedeva la chiusura di un centinaio di insediamenti abusivi per costruire pochi campi attrezzati. Ma secondo diverse stime gli insediamenti informali sono triplicati. Come in via Salviati, dove la situazione è fuori controllo

“Non capisco perché se il Piano Nomadi prevedeva lo smantellamento dei campi abusivi qui abbiano fatto finta di non vedere”. A parlare è Alessandro Moriconi, assessore all’Ambiente del VII Municipio. Il campo in questione è quello di via Salviati, periferia est di Roma.


“In realtà ci sono due campi - spiega Moriconi– e la situazione all’interno degli insediamenti è molto diversa. Salviati 1, è uno dei primi campi rom di Roma, costituito per la maggior parte da container. Sono quasi tutti immigrati di seconda o terza generazione, italiani a tutti gli effetti. I ragazzini vanno a scuola, hanno amici italiani e da parte loro c’è una forte volontà di integrarsi. Il secondo invece, - continua Moriconi – è sorto e si è ingrossato di recente, anche per la chiusura degli altri insediamenti di Roma Est, ma l’amministrazione ha fatto finta di nulla”.

Campo nomadi via Salviati



I Rom sono un centinaio nel primo campo, circa trecento nel secondo dove la situazione sanitaria è particolarmente critica, la scolarizzazione è più bassa e soprattutto le decine di casupole che sorgono fitte nell’area sono costruite con mezzi di fortuna, poco più che tuguri.

"Il punto è che spesso quando c’è uno sgombero non propongono soluzioni accettabili. Anzi, nel caso della chiusura del campo di via Severini ai Rom è stata fatta una proposta non solo inaccettabile, ma anche offensiva: le donne e i bambini sarebbero state ospitate in un centro di accoglienza nei pressi di Ponte del Grillo, agli uomini è stata proposta un’altra soluzione. Ma come si può proporre di spezzare un nucleo familiare?”.

E poi c’è la questione economica, “per fare gli sgomberi sono stati spesi 30 milioni di euro (ma altre stime, come quella dell'associazione '21 Luglio' ridimensionano la cifra a 6,5 milioni, ndr) , non sarebbe stato meglio utilizzarli per costruire anziché per distruggere?”.

Ma benché differente, la situazione rimane critica in entrambi i campi, che in realtà sono uno a ridosso dell’altro, separati da una semplice palizzata. Edificato nel 1994 Salviati 1 è stato uno dei primi campi attrezzati della Capitale, ma ora è abbandonato al suo destino, come spiega il vicepresidente della comunità Ermes, Fabrizio Massara: “Diciamo che qui c’è solo la scolarizzazione, mentre in altri insediamenti costruiti di recente, come quelli di via Salone di Castel Romano e di Gordiani, sono stati realizzati dei presidi socio-operativi; c’è una presenza giornaliera di operatori incaricati di occuparsi della gestione del campo, e si fanno dei progetti di inserimento lavorativo, di segretariato sociale. Cosa che qui non c’è”.

Del campo Salviati comunque si è tornati a parlare giovedì scorso nel corso di un convegno che ha visto la partecipazione del senatore Mario Perduca, della deputata Rita Bernardini, del presidente della cooperativa sociale Ermes Salvo di Maggio e di Massimiliano Monnanni, direttore dell’Ufficio Antidiscriminazioni Razziali. E all’incontro c’era anche un portavoce del campo ‘storico’ di via Salviati, Mirco. All’ordine del giorno il tema dell’integrazione, perché la voglia e la necessità è quella di ‘superare il campo’.

“Per via Salviati non c’è nessun progetto – spiega Mirco – e le condizioni delle nostre case sono molto peggiori di quelle di altri campi di recente costruzione. Vorremmo semplicemente partecipare alle gare di assegnazione delle case popolari come tutti gli altri cittadini italiani, visto che io sono qui dal ’61 e non ho vissuto in nessun altro paese”. Mirco ci spiega che il rapporto con gli abitanti del quartiere è, nel loro caso, privo di conflittualità. Non si può dire lo stesso però dell’altro campo.

Appena si gira l’angolo il degrado è visibile. Ai lati della strada c’è di tutto, sedie e passeggini, elettrodomestici, cumuli di pattumiera. “Vedi quella pila di tapparelle? – mi spiega Moricone – quando verrà bruciata il fumo della vernice si diffonderà per tutti il quartiere, i residenti sono stremati”.

Già, i residenti. Da mesi lamentano la totale anarchia, tra il via vai dei camion dei nomadi che ostruiscono il passaggio, le aggressioni subite, e l’aria tossica causata dai continui roghi appiccati dai nomadi. “Non è del tutto vero – ammonisce Moricone – perché la maggior parte di quelli che bruciano i materiali per rivendere i metalli sono rumeni. In ogni caso nessuno interviene. E devo essere sincero, conoscono varie persone, anche di sinistra, che per la disperazione sono diventate quasi razziste”.
 

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