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Cronaca

Laziali prigionieri a Varsavia: "Mio fratello condannato e non si sa neanche il perché"

Parla la sorella di uno dei detenuti nel carcere polacco: "Sono tenuti in isolamento e lontani tra loro". La Bonino intanto riceve rassicurazioni dal vice-Ministro degli Esteri polacco

Sono passati sei giorni dal fermo di 180 laziali a Varsavia in seguito a scontri, ancora presunti, avvenuti prima del match di Europa League con il Legia. Da allora gran parte dei fermati sono stati rilasciati. Per 22 romani però il 'dramma' continua. Sono infatti ancora detenuti nelle carceri polacche e sul loro destino la nebbia è fitta. Tanta è la preoccupazione, anche per i familiari dei ragazzi ancora in Polonia.

Ieri pomeriggio il Ministro degli Esteri, Emma Bonino, a margine del vertice Nato tenutosi a Bruxelles, ha ricevuto rassicurazioni dal Vice-Ministro degli Esteri polacco, Henryka Mościcka-Dendys, che ha confermato l'impegno del Governo Polacco a "chiarire appieno le dinamiche degli scontri avvenuti prima della partita tra la Lazio e Legia Varsavia che hanno portato all'arresto di un numero così elevato di persone e a diverse sentenze".

Per approfondire la questione, RomaToday ha raggiunto telefonicamente Barbara D'Alessandro, sorella di Federico, uno dei 22 tifosi laziali ancora detenuti nelle carceri polacche. Federico, 23 anni è uno degli 8 tifosi che sono stati già processati e condannati (altri 14 sono stati rinviati a giudizio): il verdetto è di due mesi di reclusione. 

Barbara, innanzitutto quali sono le condizioni di suo fratello? Quand'è l'ultima volta che lo avete sentito?
"Le ultime notizie che abbiamo risalgono a domenica. Sappiamo che non sta bene: quando mio padre è riuscito a vederlo lo ha trovato molto provato psicologicamente. Oggi abbiamo ricevuto notizie dal padre di un altro dei ragazzi, il quale ci ha riferito che la situazione non è buona. I ragazzi stanno male, soprattutto psicologicamente. Sono stati tutti divisi tra di loro, nelle celle non c'è nessun italiano con un suo connazionale. La psicologa del carcere li ha visitati parlando in inglese e tutti quanti le hanno chiesto "ma perchè non ci mettete insieme", lei però gli ha risposto che stanno soltanto seguendo disposizioni 'dall'alto'".

Come stanno trascorrendo il loro tempo in carcere?
"Dalle notizie che ci arrivano apprendiamo che li stanno tenendo in una sorta d'isolamento, gli impediscono di uscire, restano tutto il tempo in cella".

La preoccupazione della vostra famiglia cresce...
"Decisamente, anche perchè Federico è uno degli 8 che sono già stati processati e condannati, e noi temiamo che la Farnesina si stia occupando esclusivamente dei 14 rinviati a giudizio, che rischiano pene ancora maggiori rispetto a quanti sono già stati giudicati, ma che se otterranno la possibilità di essere rilasciati su cauzione torneranno in Italia, avendo poi la possibilità di preparare una difesa ed eventualmente ripresentarsi al processo". 

Per quale motivo tuo fratello è stato già condannato?
"Ce lo chiediamo anche noi senza riuscire a darci una spiegazione: i 22 arrestati hanno avuto tutti quanti lo stesso capo di imputazione, soltanto che ad emettere i verdetti sono stati giudici diversi, per cui non c'è stata uniformità di giudizio".

Che idea ti sei fatta di tutta questa vicenda?
"É una storia dai contorni assurdi: sentendo le testimonianze di altri ragazzi che sono riusciti a tornare a Roma, sebbene ci sia stato qualcuno che ha commesso la sciocchezza di lanciare qualcosa contro le autorità, i presupposti per essere aggrediti esistevano indipendentemente dal lancio di oggetti. La polizia era dappertutto, in divisa, in borghese. I tifosi della Lazio erano accerchiati e spintonati dai poliziotti. Sto soffrendo particolarmente perché non vorrei che i veri colpevoli, se ci sono, stiano beatamente qui a Roma mentre degli innocenti sono in carcere. E poi voglio insistere sul fatto che le istituzioni si devono interessare anche e soprattutto degli 8 condannati, non solo dei rinviati a giudizio".

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