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Cronaca

Ostia, Corte d'Appello: "Ecco perché i Fasciani non sono mafia"

La Corte pubblica le motivazioni della sentenza e non ritiene provato il carattere mafioso dell'associazione per la famiglia che faceva affari ad Ostia

Non c'è la prova di una "univoca strategia intimidatoria o una diffusa soggezione". I casi di estorsione o spaccio sono "singoli episodi". Il direttore di banca è solo "desideroso di compiacere un cliente". Le case avute senza titoli è "un diffuso malcostume".

E poi manca la prova "della pervasività mafiosa". E' quanto sottolineano i giudici della Corte d'Appello rendendo note le motivazioni della sentenza relativa al processo che ha visto protagonista la famiglia Fasciani, con a capo don Carmine, che ad Ostia faceva affari. Gli stessi magistrati, che nell'occasione hanno condannato complessivamente 10 dei 18 imputati arrestati nell'ambito dell'operazione Alba Nuova che nel luglio del 2013, hanno fatto cadere anche l'aggravante del metodo mafioso stabilita dall'articolo 7. 

Insomma ad Ostia la mafia non esiste. Una situazione kafkiana, quella vissuta nel X Municipio ancora commissariato. Nelle oltre 150 pagine con le quali i giudici della seconda sezione della Corte d'Appello di Roma hanno infatti assolto, lo scorso 13 giugno, tutti i componenti della famiglia Fasciani dall'accusa di associazione a delinquere di tipo mafioso, limitandosi a condannare gli imputati per "associazione a delinquere semplice". 

"La Corte - si legge nel documento - non ritiene provato il carattere mafioso dell'associazione". Nel motivare la decisione i giudici scrivono: "Il materiale probatorio raccolto depone per singoli atti intimidatori, posti in essere nei confronti dei singoli soggetti, mentre difetta la prova della pervasività del potere coercitivo del gruppo Fasciani". In merito alle dichiarazioni a carico dei Fasciani rese dal collaboratore di giustizia Sebastiano Cassia, la Corte sottolinea come "non possano ritenersi riscontrate nel procedimento"

Per i giudici, tuttavia, è fuori discussione che ad Ostia "Carmine Fasciani e sua moglie Silvia Bartoli fossero a capo di un gruppo organizzato finalizzato alla commissione di reati di usura, estorsione, traffico di sostanze stupefacenti, detenzione e porto di armi e all'acquisizione di attività economiche in modo occulto". A dimostrarlo ci sono intercettazioni sia ambientali che telefoniche ma "non è provato il carattere mafioso del gruppo criminale". 

Tutte attività criminali tipiche dei clan del Sud, ma che a Roma non sono bastate per sancire la "mafiosità" dell'organizzazione. Per supportare l'ipotesi del 416 bis, la distrettuale antimafia aveva sottolineato "l'uso indiscriminato della intimidazione" e "il comportamento compiacente tenuto dai professionisti comparsi nella vicenda".  

Poi c'è la storia delle assegnazioni di abitazioni da parte dell'Enasarco e l'occupazione sistematica delle case popolari di Ostia che potrebbero "rappresentare semplicemente l'adesione della famiglia Fasciani ad un diffuso malcostume in tema di assegnazione di unità abitative". Gli argomenti  dell'accusa, quindi, non hanno convinto i giudici della Corte di Appello: "Il materiale probatorio raccolto depone per singoli atti intimidatori, posti in essere nei confronti di singoli soggetti, mentre difetta la prova pervasiva del potere coercitivo del gruppo Fasciani". 

Per quanto riguarda le posizioni di Vito e Vincenzo Triassi, che secondo l'accusa "capeggiavano un altro gruppo criminale con i quali i Fasciani avevano raggiunto sul territorio lidense una sorta di pacifica convivenza", i giudici scrivono: "Va condivisa la valutazione formulata dal primo Giudice relativamente alla insufficienza degli elementi raccolti sulle attività criminali svolte dai Triassi". Già in primo grado, nel medesimo procedimento, i Triassi erano stati assolti da tutte le accuse.

Ancora in merito a Vito e Vincenzo Triassi, si legge nelle motivazioni: "Le dichiarazioni di Spatuzza (collaboratore di giustizia ndr) sono in proposito assolutamente generiche. Il collaboratore non è stato in grado di indicare per conoscenza diretta alcuno specifico episodio di importazione di droga. L'oggetto del presunto programma criminoso emerge da altri elementi probatori". L'ipotesi accusatoria è dunque rimasta "priva di riscontro relativamente all'adozione del metodo mafioso nei confronti della collettività locale". Quanto più ove si consideri che le dichiarazioni rese dalla Spatuzza si fermano all'anno 1997, anno del suo arresto, cui è seguito l'inizio della sua collaborazione”.

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