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Cronaca

"Ecco cosa è successo a Dino": svelato il mistero dei manifesti

Si tratta del caso della morte di Bernardino Budroni. Prima i nuovi manifesti: "E' morto con le mani alzate dopo lo sparo di un poliziotto". Poi la conferenza stampa alla Camera dei Deputati alla presenza della sorella Claudia. Lunedì il processo d'Appello

“Sai cosa è successo a Dino?”. La risposta alla domanda che campeggia ormai da giorni sui muri di molti quartieri di Roma in merito al caso della morte di Dino Budroni è arrivata. Prima per le strade della città con un nuovi manifesti, circa diecimila in tutto: “Dino è morto con le mani alzate dopo lo sparo di un poliziotto”. E ancora: “Dino era disarmato”. Subito dopo nella sala conferenze della Camera dei Deputati dove sono stati riaccesi i fari sul caso della morte del 40enne romano di Fonte Nuova ucciso da un colpo di pistola sparato da un agente la notte del 30 luglio 2011, al termine di un inseguimento sul Raccordo terminato sulla rampa d'uscita all'altezza della Nomentana. Il 15 luglio del 2014 il poliziotto che ha premuto il grilletto è stato assolto in primo grado per il reato di omicidio colposo e lunedì prossimo, 4 aprile, si terrà la prima udienza del processo d'Appello.

“Dino è morto per un colpo sparato ad altezza uomo e con una traiettoria diretta che ha trapassato i polmoni ed è arrivato al cuore” ha esordito l'avvocato difensore della famiglia Budroni, Fabio Anselmo. Al suo fianco la sorella di Dino, Claudia, il deputato di Sinistra Italiana Daniele Farina e Luca Blasi di Acad, l'Associazione contro gli abusi in divisa. Presente in sala anche Ilaria Cucchi.

“Non accettiamo la sentenza di assoluzione che ha stabilito che gli spari, in quelle circostanze concitate, sono stati un errore scusabile. Anche la Procura ha impugnato quella sentenza con parole dure”. Per la famiglia Budroni si tratta di “dimostrare l'insussistenza dei presupposti su cui si basa l'assoluzione”. Due in particolare: “La velocità delle auto al momento degli spari e la rapida successione dei colpi”. Per Anselmo è chiaro che “al momento dello sparo l'auto di Dino era ferma con il freno a mano tirato e la prima marcia inserita”. Anche il secondo colpo “non è stato sparato per un errore, forse suscitato dal rinculo o dalla concitazione di quei momenti”. 

IL VIDEO - L'avvocato Anselmo: "Al momento degli spari l'auto era ferma"

Per entrambi la prova è contenuta nelle registrazioni delle conversazioni tra un carabiniere che ha partecipato all'inseguimento, e quindi si trovava sul posto, e il centralino del 112. L'avvocato Anselmo le ha fatte ascolare nel corso della conferenza stampa, “si tratta della cronaca dei fatti che apprendiamo dai diretti protagonisti”. In una si sente chiaramente un solo sparo, “quindi il secondo è avvenuto a distanza di tempo” commenta Anselmo che ricorda: “Abbiamo anche chiesto una nuova perizia tecnica”. 

Altre riguardano la circostanza in cui si sono verificati gli spari. Ad esplicita richiesta il carabiniere risponde: “Nel momento in cui ci fermavamo”. E ancora. “L'abbiamo stretto e lui ha sbattuto sul guardrail e quindi non poteva andare da nessuna parte”. In un'altra registrazione il brigadiere che si trovava sul posto spiega: “Nel momento in cui lo stavamo fermando.. proprio nel momento in cui lo abbiamo stretto, lo stavamo fermando, io ho sentito due botte e ho detto: “Avranno sparato in aria”. Nella conversazione vengono descritti anche i tragici momenti della morte di Dino: “Tant'è che io questo qua ce lo avevo davanti a me perchè praticamente gli stavo quasi a fianco e mi guardava, perchè anche io gli avevo puntato la pistola addosso per non farlo muovere ma non avevo messo neanche un colpo in canna, era giusto per intimorirlo […] mi guardava e poi.. dopo un po' ho visto che si è accasciato”. 

“Questo è un film girato male dove l'unica certezza è la morte di Dino. Dovremmo ricominciare tutto da capo” commenta Claudia Budroni, sorella di Dino. “Troppi elementi nel corso del processo sulla morte di mio fratello non sono stati presi in considerazione e io mi auguro che lunedì i fatti di questa storia vengano considerati in maniera più seria e limpida”. Il sentimento è quello della “rabbia perché in queste circostanze ci si dimentica sempre delle famiglie a cui non resta che studiare le loro morti”. 

Il racconto che emerge è lucido e allo stesso tempo pieno di rabbia. Quella di Dino non è solo la storia del processo per stabilire le cause della sua morte. C'è “una tomba violata per sette volte con danneggiamenti e furti”. C'è quella condanna a due anni e sei mesi a carico di Dino, “arrivata dopo oltre un anno dalla morte, come se dare la 'patente di stalker' giustificasse la terribile fine della sua vita”. Perché “in quella notte Dino era agitato, arrabbiato e ha reagito in maniera scomposta ma avrebbe dovuto rispondere del suo comportamento come in un Paese civile e non con la morte” aggiunge Anselmo. 

La campagna 'Sai cosa è successo a Dino?', che ha posto alla città questo pesante interrogativo con diecimila manifesti, “vuole alzare il livello d'attenzione, purtroppo troppo basso, su questa vicenda” commenta Luca Blasi di Acad che denuncia: “Una delle persone incaricate di attaccare questi manifesti è stata fermata da presunti agenti in borghese e gli sono stati fotografati il volto e i documenti”. Il processo di primo grado “si è chiuso per noi in modo inaccettabile e nei prossimi giorni, nelle aule dei tribunali porteremo quel pezzo di società civile che si oppone a tutto questo”. Continua così il percorso che “lo scorso 15 marzo ci ha portato a Bruxelles a denunciare tanti, troppi casi, di abusi di potere”. 

“Casi che non sono isolati” commenta l'onorevole Farina. “Casi che sempre più spesso, come in un pellegrinaggio, arrivano in queste stanze per essere denunciati. Pratiche che sembrano iscritte in una vera e propria metodologia e che andrebbero corrette sia sul piano legislativo sia su quello culturale”.

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