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Cronaca

Marco Vannini, Antonio Ciontoli intervistato da Franca Leosini: "Quella sera una catena di errori assurdi"

Il padre di Martina: "Ero convinto di averlo colpito ad un braccio, non ho mai pensato che stesse rischiando la vita"

“Spero che un giorno i genitori di Marco possano avere misericordia e perdonarmi”. Nella prima puntata di “Storie maledette” (Rai3) dedicata al caso Vannini (martedì la seconda), Antonio Ciontoli ha raccontato la sua versione dei fatti su quanto accadde la notte del 17 maggio del 2015 nella villetta degli stessi Ciontoli a Ladispoli. Una versione sostanzialmente identica a quella riferita nel corso del processo.

L'omicidio di Marco Vannini a Ladispoli: la ricostruzione dell'intera vicenda

Il papà di Martina, la compagna del giovane morto, ha ribadito che quella sera è stato lui a premere il grilletto, ma che quel colpo gli è partito per sbaglio. Identica a quella riferita in aula anche la sequenza dei fatti. Ciontoli entra nel bagno per prendere un marsupio con delle armi che aveva dimenticato sulla scarpiera.

Ma perché entrare nel bagno mentre il compagno della figlia è nudo nella vasca? ”C’era un rapporto molto intimo e particolare con Marco – ha spiegato Ciontoli -, quindi non c'era nessun problema a vederlo nudo”. Una versione a cui la mamma del giovane non ha mai creduto in quanto – a detta della donna – un ragazzo riservato come Marco non avrebbe mai permesso che il padre della ragazza potesse vederlo mentre stava facendo il bagno. “Rispetto nel modo più assoluto quello che dicono i genitori – ha detto il padre di Martina -, ma probabilmente Marco da noi si comportava in modo diversa”.

Incalzato da Franca Leosini, Ciontoli ha ripercorso i tragici fatti di quella notte.  “Prendo il marsupio sulla scarpiera alla fine del bagno. Marco la ha riconosciuto perché l’aveva già visto e sapeva che c’erano delle armi: mi chiese di fargliere vedere, io gli risposi di lasciar perdere… E poi come un grande stupido mi sono lasciato convincere. Lui [la pistola] la voleva toccare, la voleva in mano. Io dissi: ‘No non te la do in mano, lascia perdere, e convintissimo che l’arma fosse scarica ho caricato e ho premuto il grilletto’”. 

“E’ stato un movimento unico – ha aggiunto -, nel senso che è durato meno di un secondo. Ho caricato e istintivamente ho premuto il grilletto? Perché? Nella stupidità più assoluta volevo fargli vedere come si carica un’arma”, 

“Nei primissimi secondi non mi capacitavo di quello che era successo: sono rimasto scioccato, gelato. Poi ho visto che sotto la spalla di Marco c’era un puntino, un buchino, da cui usciva un po’ di sangue”. Quindi lei ha realizzato di aver sparato? “Realizzato no. Non mi sono chiesto perché uscisse il sangue. Per me ciò che mi stava capitando era inaccettabile, quindi a tutto ho pensato fuorché che fosse partito un colpo”. 

La Leosini lo incalza. Come ha fatto un uomo delle forze dell’ordine a maneggiare la pistola senza accogorgersi che c’era un colpo in canna? “Un uomo delle forze dell’ordine non vuol dire esperto d’armi… io di armi non mi sono mai occupato perché non rientrava nelle mie competenze, nella mia carriera ho sempre avuto mansioni d’ufficio”. 

"Ero gelato, Marco era in preda al panico. Si è fidato di me"

Perché sarebbe dovuto uscire sangue? “E’ una domanda che non mi sono fatto, ero scioccato. Sono rimasto gelato, fermo. Subito dopo è entrata Martina”. E Marco? Possibile che non si sia reso conto di essere stato colpito? “La mia impressione è che lui fosse intimorito, era andato in panico”. Ma non si è accorto che usciva sangue? “Questo non lo so, per quello che era la mia percezione no”. Non sentiva dolore? A cosa lo avrebbe attribuito quel dolore? “E’ una domanda a cui non so rispondere perché non ci siamo confrontati, lui si è lasciato aiutare, maledettamente anche lui si è fidato di me”. 

Ciontoli racconta che nei primi minuti la sua percezione non è stata quella di "un colpo da arma da fuoco…” e continuava a ripetere a tutti che era stato “un colpo d’aria”. 

Quindi lei ha mentito anche a sua figlia? “Assolutamente sì, io quella maledettissima sera ho fatto una serie di grossi errori, una catena di grossi errori. Errori che forse sono stati un po’ dovuti alla situazione. Marco ai miei occhi non sembrava grave e pensavo di poter gestire la cosa da solo, ho peccato di umiltà, ho pagato la mia troppa sicurezza. Ma io ero convinto che il colpo di arma da fuoco fosse nel braccio, non pensavo che Marco stesse rischiando la vita. Alla luce di a questa percezione, di questa consapevolezza, tutti i miei comportamenti di quella sera sono chiari”. 

Marco Vannini, il racconto di Ciontoli: "Ho fatto una serie di errori assurdi"

Il primo errore - sottolinea la Leosini - è stato quello di mentire ai suoi figli, perché se avesse detto la verità ai suoi figli… “Io quella sera ho fatto una serie di errori assurdi e sono pronto a pagarli”. E ancora: “Cercavo sempre di tranquillizzare tutti dicendo che Marco era solo spaventato, ma non ero lucido”. Solo “con il passare dei minuti ho iniziato ad essere cosciente che mi era partito un colpo, ma la mia convinzione era che lui il proiettile ce l’avesse nel braccio”.

Marco sembrava sofferente? “Inizialmente no”. Ma per la conduttrice qualcosa non quadra: non sembrava a tutti anormale che Marco stesse così solo per uno spavento? “Lui un po’ era impaurito, un po’ si lamentava, un po’ rispondeva a Martina, però le sue condizioni a noi non sono mai sembrate gravi”.  

Ciontoli racconta che il primo ad allarmarsi per le condizioni di Vannini è stato il figlio Federico: “Io non avevo la cognizione del tempo, credevo fossero passati cinque minuti e invece era passata mezz’ora. Federico era preoccupato, ha preso il telefono e ha chiamato il 118”.

Ciontoli ammette di aver fatto annullare la chiamata, convinto che Marco si stesse riprendendo. Una scelta che si rivelerà fatale per Vannini: i periti della Corte d’Assise hanno infatti stabilito che il ritardo nei soccorsi è stato determinante nella morte del giovane. 

Ciontoli: "Penso di continuo al dolore causato"

“Quella sera non mi è mai passato neanche per l’anticamera del cervello che Marco stesse rischiando la vita. Io ero certo di averlo colpito al braccio” assicura Ciontoli. “Ho fatto una serie di cose inconsulte, la mia preoccupazione era solo quello di portarlo al pronto soccorso e non fare emergere ciò che era accaduto, per mille motivi: il mio lavoro, il concorso che lui stava facendo”. “Quante volte mi sono detto 'che cosa ho combinato', non c'è momento della giornata in cui non penso al dolore che ho provocato a tutti”.
 

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