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A teatro con Francesca

A teatro con Francesca

A cura di Francesca Ragno

Carmelo Bene un uomo che si odia o si ama...parte seconda

Dopo il debutto al Caffè letterario la Compagnia Artisticamente Albano ha reso in forma di articolo pubblicato su una rivista specializzata l'esperienza artistica di stesura e rappresentazione dell'omaggio a Carmelo Bene

Carmelo Bene muore nel 2002 a Roma all'età di 64 anni e nella sua vita è stato forse l'ultimo grande teatrante e istrione dell'arte italiana. Bene è stato tutto il contrario di tutto, un artista amato e odiato allo stesso tempo da critica e da pubblico.  E' stato un grande drammaturgo, attore e regista teatrale e anche e soprattutto, un fine filosofo che, grazie al teatro, riusciva ad esprimere il suo impianto teoretico, il suo pensiero o, come lo avrebbe definito il « non-pensiero ». Di origine pugliese era stato fin dall'infanzia un bambino schivo, taciturno, incline alla riflessione e ben presto dimostra il suo spirito reazionario rifiutando l'insegnamento dei padri Scolopi di Lecce che definì addirittura "incompetenti in teologia e pedofili", scagliandosi anche contro una delle principali istituzioni teatrali italiane, l'Accademia di arte drammatica Silvio D'Amico che secondo lui "sopiva i sensi dell'attore".

Carmelo Bene debutterà nel 1959 come protagonista del Caligola di Albert Camus, a Roma e diventa ben presto il contestato protagonista del teatro-laboratorio di Trastevere, presto chiuso dalle forze dell'ordine. Per raggiungere il grande pubblico Bene dovrà attendere che Pasolini lo “scopra”  facendolo recitare in "Edipo Re", per poi successivamente darsi alla letteratura e al cinema. Dopo una frenetica carriera negli Anni Novanta  Carmelo Bene « si disoccuperà di sé » prendendo di fatto una pausa di riflessione dalla scena. Della sua vastissima opera intellettuale rimangono tracce nella letteratura, nel cinema, nella televisione, in radio e soprattutto nel teatro.

Bene è un vero e proprio istrione che definirà il teatro come « non teatro » o, meglio, come un non-luogo soprattutto; quindi è al riparo da qualsivoglia storia. È intestimoniabile. Cioè, lo spettatore per quanto Martire, testimone, per quanti sforzi possa compiere lo spettatore, dovrebbe non poter mai raccontare ciò che ha udito, ciò da cui è stato posseduto nel suo abbandono a teatro. Il non-attore è la « macchina attoriale », in cui si ha l’osceno, ovvero cio’ che é fuori di sé, fino all’assenza definitiva nel porno, ovvero cio’ che é al di là di ogni desiderio : « cala il sipario ». La sua splendida voce calda, profonda ed espressiva glie ra congeniale per esprimersi nella phonè : « una dialettica del pensiero, nego di aver qualcosa a che fare con la phonè. Io cerco il vuoto, che è la fine di ogni arte, di ogni storia, di ogni mondo». La sua riflessione su ciò che è « azione » è significativa : « nessun’azione può realizzare il suo scopo, se non si smarrisce nell'atto. L'atto, a sua volta, per compiersi in quanto evento immediato, deve dimenticare la finalità dell'azione. Non solo. Nell'oblio del gesto l'atto sgambetta l'azione, restando orfano del proprio artifice. Bisogna paralizzare l'azione, che è qualcosa di storico, legato al progetto, mentre  l'atto è oblio: per agire, occorre dimenticare, altrimenti non si può agire. In questo una parola come attore va decisamente riformulata. Mentre con attore s'intende per solito colui che fa avanzare l'azione, porgendo la voce al personaggio, io mi muovo in senso contrario. Vado verso l'atto, e cioè l'instaurazione del vuoto. Questo è il senso della sovranità o super-umanità attoriale. Ma per far questo si deve decostruire il linguaggio, spostando l'accento dai significati ai significanti che, come dice Lacan, sono stupidi, sono il sorriso dell'angelo. Occorre arrivare all'inconscio, a quanto non si sa, all'oblio di sé». La sua ricerca filosofica si concentrerà su temi quali il depensamento e il problema del linguaggio, la coscienza, la cultura, il significato e il significante, l’immagine. A livello politico sarà sempre critico e astioso nei confronti di ogni regime (soprattutto democratico), delle istituzioni, responsabili, secondo Bene, nel preservamento della mediocrità, il tema del sociale e la liberazione dell’uomo da ogni lavoro, soprattutto manuale. Per Carmelo Bene anche l’artista si « prostituisce » allo Stato e ai ministeri, alla politica in genere « vendendosi » e pensando a produrre capolavori (mancati) anziché ricercare il vero scopo dell’arte e dell’artista, ovvero « essere lui stesso un capolavoro ».

Proprio alla figura di questo ecclettico uomo di arte le associazioni Filomati e Artisticamente Albano hanno voluto rendere omaggio con un tributo andato in scena nel maggio del 2014 al Caffè Letterario di Roma con successive repliche nella Capitale.

"Non ho avuto la pretesa di imitare il maestro, ma il mio scopo è stato quello di entrare in punta di piedi nel suo mondo e con la mia valigia per cogliere una perla rara- racconta l'autrice e regista teatrale Elisa Pellegrini - Rendere omaggio a una  figura geniale come quella di Carmelo Bene è stata una sfida nella mia breve esperienza registica e un’ulteriore ricerca nella mia esperienza attoriale che dura da 16 anni".

La Compagnia Artisticamente Albano in scena con Carmelo Bene

Uno spettacolo che in una forma teatrale con pochi mezzi ha volute ricostuire l'atmosfera immaginifica di Bene: "Lunghe notti passate a leggere, ad ascoltare e a guardare video per poi concentrare in circa 30-40 minuti di spettacolo l’essenza inafferrabile, intangibile di uno spirito libero, senza aver la certezza di averlo afferrato, ma forse plasmato in quello che è il mio personale “non luogo”, nel quale ho riportato l’eco di una voce lontana: Antonin Artaud, il folle, il visionario, lui che ipotizzò le utopie teatrali dei primi anni del ‘900, in reazione a un teatro che stava morendo e che aveva bisogno di essere raso al suolo e ricostruito, lui che nel dare vita a queste utopie non fu immune da fallimenti, lui che diventò il “guru” di Carmelo Bene. Ed è proprio la voce di Antonin Artaud, (dopo la lettura dell’attore indipendente Vincent Locke) ad aprire lo spettacolo. Il mio personale teatro è povero di mezzi, ma ricco di voglia di mettersi in gioco e di presenza femminile, ho voluto utilizzare il microfono e amplificazioni artigianali, costruite nel corso di miei laboratori espressivi manuali con ragazzi disabili visivi, per evidenziare l’incisività della voce di Artaud, di questo eco lontano", continua il suo racconto la Pellegrini.

Lo stesso Carmelo Bene non a caso in un’intervista rilasciata a Mixer Cultura nel 1987, afferma di ispirarsi proprio al teorico del teatro del Novecento:  ”Io ho ripreso il discorso di Artaud, [...] la scrittura di scena è tutto quanto non è il testo a monte, è il testo sulla scena..” .

Nel testo sulla scena rientra anche l’attore e la “macchina attoriale” intesa come la fusione tra uomo e macchina. Alla base c’è comunque uno studio quasi maniacale dei toni e dei timbri, per poi destrutturarsi e fondersi con la macchina. E in questo Carmelo Bene, nonostante la sua vena polemica, riconosce in un seminario al teatro Ateneo dell’Università La Sapienza di Roma,Vittorio Gasmann, come uno dei maestri di tecniche vocali. L’uso dei microfoni e quindi dell’amplificazione per Bene  non è assolutamente un gonflage, un ingrandimento, ma come guardare questa pagina: se io la guardo in questo modo, ecco, così, io vedo e così sento; ma se io avvicino questo [foglio], più l'avvicino, più i contorni vaniscono. I contorni vaniscono e non vedo più un bel niente”.

"Carmelo Bene: un uomo che si odia o si ama" è il titolo che la compagnia Artisticamente Albano ha voluto dare allo spettacolo tributo, un percorso che grazie al contributo dell'attore Vincent Locke ha esplorato il Bene poeta, perché in fondo è dalla poesia (dal greco 'Poiesis' , creazione) che nasce il suo mondo d’artista, non trascurando Nostra Signora dei Turchi, opera prima cinematografica, attraverso la lettura del brano “Il monologo dei cretini” tratto dall’omonimo romanzo, e due sue importanti messe in scena del Pinocchio e del Macbeth.

"E una pioggia di fiori coprirà le mie ossa", scriveva Carmelo Bene in "Profezia Triste", di sicuro la sua vita è stata coperta di applausi e critiche come si confanno a un artista reazionario e onirico quale lui era.

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