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Dubitando

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A cura di Luigi Di Gregorio

Un logo ogni 3 anni. Una città in cerca di identità

Come promesso, la giunta Marino ha modificato tutti i loghi di Roma Capitale, già modificati dalla giunta Alemanno, che cambiò il logo del Comune di Roma in quello di Roma Capitale (logo istituzionale) e assegnò per la prima volta alla città un marchio turistico-commerciale mediante un concorso di idee aperto a tutti i designer italiani (vinse la lupa sul capitello, stilizzati, e “fusi” con la parola Roma).

La prima cosa da dire è che una città che cambia, di fatto, 4 loghi in 3 anni non dà un bel segnale. Il logo è di fatto un simbolo di identità (brand identity) e troppi mutamenti in poco tempo sono il segno che la città, per prima, non sa bene cosa essa rappresenti. Di sicuro non lo sa la sua classe dirigente, ma direi un po’ tutti.

La giunta Alemanno scelse un marchio turistico-commerciale orientato a far emergere la caratteristica, universalmente riconosciuta alla nostra capitale e universalmente percepita, di città storica per eccellenza. Per questo la lupa sul capitello e la parola Roma (in italiano).
La giunta Marino ha scelto un logo sicuramente più moderno e più declinabile, che guarda al futuro, più internazionale ma meno identitario: “Rome & You”. Con la scelta della lingua inglese, il “relazionale” sottinteso nell’ “& You”, i pallini sopra il logo che richiamano uno stile moderno, app-based, sicuramente molto declinabile, ma anche molto “anonimo”. Nel senso che non c’è nulla che richiami le specificità di Roma in quel marchio.

In altri termini, potremmo dire che la scelta dell’amministrazione Alemanno era basata sulla Roma evocata dal “modello Gladiatore”, quella di Marino su una Roma che ancora non c’è, o quantomeno non è percepita nel mondo: una Roma smart, tecnologica e user-friendly, versione Londra, Barcellona o NY. Una Roma globale e globalizzata.

Si può discutere all’infinito su quale delle due versioni sia migliore. Quello che è certo è che emerge una schizofrenia assoluta e concentrata nel tempo. “I love NY” è sempre lo stesso marchio dal 1977, noi siamo già a 2 loghi turistici, totalmente diversi, in 3 anni.

Sorvolo sul fatto, non secondario tuttavia, che dopo la scelta del logo precedente fu fatta una gara europea per lo sfruttamento commerciale del marchio, con tanto di contratto quinquennale che presumo sia andato a farsi benedire… La schizofrenia porta anche a questo.

Personalmente, invece, condivido che in generale sparisca l’aggettivo “capitale” (resterà solo nei documenti istituzionali), perché come dice Marino “Roma è Roma, non ha bisogno di aggettivi”. È vero. Ma proprio per questo capisco poco “Rome” in inglese. Se “Roma è Roma”, è bene che resti Roma e che non diventi Rome… Ma evidentemente nella scelta della lingua inglese c’è anche una “resa culturale”: “Roma era Roma”, oggi è “Rome”. E il modello metropolitano da seguire (e inseguire) è quello dettato dalle capitali della cultura (e del consumo) anglosassone. Il punto è: siamo in grado di farlo? Di diventare la smart city di cui si parla da anni? Di diventare la città da visitare non solo per il Colosseo, i Fori e San Pietro, ma perché offre servizi, contemporaneità e (ahimé) stimola lo shopping a tutto campo? Siamo in grado cioè di competere con le grandi città globali sul loro campo, abbandonando progressivamente il nostro? Qualche dubbio ce l’avrei…

Un logo ogni 3 anni. Una città in cerca di identità

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