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Cose da Pazzi

Cose da Pazzi

A cura di Enrico Pazzi

Il Pd romano alla Leopolda: Renzi, Giachetti e i "consiglieri comunali già decisi"

In pochi ne hanno evocato il nome. Ma alla Leopolda 6 Roma è stato un tema ricorrente. Bisognava osservare gli esponenti del Pd romano in giro su e giù per la stazione Leopolda. Chi nella spasmodica ricerca della benedizione e chi, invece, già sicuro del proprio futuro politico all’ombra di Renzi. Il via vai di coloro che, instancabilmente, percorrevano chilometri lungo le due enormi vasche dell’edificio. I sorrisi, le strette di mano, i selfie, le pacche sulle spalle, gli sguardi freddi ed impenetrabili di alcuni e i larghi sorrisi di altri. I caffè al bar, le mezze acque frizzanti acquistate dopo lunghissime file alla cassa. Persino le attese alla toilette. Ogni occasione è stata buona per incontrarsi, scambiarsi una battuta, uno sguardo, un’espressione di approvazione o di contrarietà.

Ma in fondo, per gli esponenti romani la Leopolda 6 è stata un calarsi nell’indefinito limbo nel quale Roma è imprigionata oramai da mesi. E tutti a rimuginare sulla domanda capitale: Matteo Renzi crede o meno ad una vittoria a Roma? E se ci crede, con chi vorrà andare a conquistare Roma? E se non ci crede, qual è la strategia per renzianizzare una volta per tutte la Capitale?

E’ bastata una scena durata una manciata di secondi: Roberto Giachetti che, dopo il suo intervento sulla riforma elettorale, riceve l’abbraccio da Matteo Renzi, con alle spalle l’immagine proiettata sul megaschermo del Campidoglio. Una decina di secondi che hanno scatenato il panico tra gli esponenti Pd del Teatro Vittoria a Trastevere, dove sabato scorso si è radunata la minoranza Dem. Una promozione sul campo di Giachetti a candidato a sindaco di Roma. Ma anche un avvertimento.

A Roma, oramai, c’è un clima da Guerra Fredda. Con entrambi gli schieramenti che stanno posizionando le testate nucleari. “Mutual assured destruction”, distruzione mutua assicurata.  I due blocchi contrapposti, gli uni a Firenze alla Stazione della Leopolda, gli altri asserragliati nella ridotta del Teatro Vittoria a Roma. Gli uni caricati a molla tra megaschermi, stacchetti pop-rock e gadget, gli altri seduti su poltrone di velluto rosso a sentir parlare i leader dell’opposizione Pd anti-renziana, disposti sul palco con tanto di leggio. #Leopolda 6 contro #ilpdnelmondochecambia.

E’ evidente che Matteo Renzi stia giocando a fare il gatto con il topo. L’abbraccio di Renzi a Giachetti sullo sfondo del Campidoglio è un avvertimento: “Io il candidato ce l’ho, non sono impreparato”.  Aggiungiamo poi anche l’intervento di Cristiana Alicata che, senza mezzi termini, ha attaccato il Pd romano delle correnti, “C’è già un patto tra i capi-correnti. Potrei scrivere adesso e mettere in una busta chiusa i nomi dei sei-sette consiglieri dem che saranno eletti. E vedrete che, se apriamo quella busta dopo il voto, gli eletti saranno proprio questi”. Come a dire che a Roma il Pd delle cordate, quello che portava i Rom di Buzzi a votare alle Primarie del 2013 (denunciato anche questo dall’Alicata a suo tempo) si è già apparecchiato la tavola, a scapito del vero rinnovamento generazionale.

In fin dei conti, la questione romana resta una patata bollente. Matteo Renzi sa bene che ci saranno scadenze ben più importanti delle elezioni amministrative romane. Lo sforzo maggiore, verosimilmente, sarà profuso per accrescere il proprio consenso a livello nazionale, volendo vincere il referendum sulle riforme costituzionali, il Congresso di partito e, infine, le prossime elezioni politiche. E magari, passare la mano su Roma potrebbe riparare il Pd renziano da un calo di consensi a livello nazionale. E anzi, una sconfitta del centrosinistra a Roma renderebbe più facile a Renzi ricostruire, sulle macerie, il Pd romano a sua immagine somiglianza. Liberandosi una volta per tutte di “gufi” e post-comunisti.
D’altronde, “Non fuit in solo Roma peracta die”. Figuriamoci il Pd Roma renziano.

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