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Cose da Pazzi

Cose da Pazzi

A cura di Enrico Pazzi

Elezioni Roma. Consigli non richiesti a Meloni e Marchini

La campagna elettorale, in vista delle prossime ed imminenti amministrative romane, sta entrando nel vivo. Manca un mese al voto per il primo turno. E’ il momento per dare consigli non richiesti.

Iniziamo con il centrodestra. 

I due principali attori sono Giorgia Meloni, da una parte, ed Alfio Marchini dall’altra. Con buona pace di Francesco Storace che non ha alcuna possibilità di giocarsi il ballottaggio e che ha di fatto già espresso la sua volontà di appoggiare Marchini. In realtà, nel centrodestra si gioca una partita tutta generazionale, che riguarda più la leadership nazionale che il governo di Roma. I due quarantenni Giorgia Meloni e Matteo Salvini stanno cercando di spodestare Silvio Berlusconi dalla guida del centrodestra. E con lui, conseguire la rottamazione di tutta una serie di figure minori in termini di consenso elettorale, ma pesanti in termini di influenza politica a Roma come Pierferdinando Casini, Gianfranco Fini, Gianni Alemanno e, su tutti, Gianni Letta, il Richelieu della corte berlusconiana. 

Berlusconi ha utilizzato la candidatura di Guido Bertolaso come arma tattica per far uscire allo scoperto Matteo Salvini. E quest’ultimo, che sta giocando una partita di rimessa, sta utilizzando la Meloni come testa di ariete per cercare di sfondare la porta di ingresso di Arcore, volendo saggiare quanta energia e forza ha ancora il fu Cavaliere. Le forze in campo, in realtà, sono impari in termini di consenso ma anche e soprattutto in termini di fondi disponibili per mettere su la macchina del consenso. Tutto a vantaggio di Alfio Marchini. 

I concetti cardine della campagna elettorale di Giorgia Meloni: essere potenzialmente la prima sindaco donna di Roma e, al contempo, la prima mamma alle prese con il governo della città; identità di destra con conseguente battaglia per “cacciare gli zingari” e respingere i profughi, gli immigrati e i clandestini dalla Capitale; ridare antico splendore alla Roma imperiale, con tutta la simbologia vetero-fascista che si porta dietro; miscuglio pseudo-complottista contro l’Europa dell’euro, al quale si aggiunge l’omofobia e l’islamofobia, in virtù di una simbolica guerra Santa contro gli infedeli islamici connotati tutti come terroristi dell’Is. Un pantheon da destra neo-fascista, mixata con la radice xenofoba leghista salviniana. 

I punti cardine di Alfio Marchini: il civismo, che però è oramai compromesso dall’appoggio massiccio di Forza Italia; essere stati quelli che hanno dato una mano cruciale al Pd per mandare a casa Ignazio Marino; non essere stati coinvolti in Mafia Capitale, fatta eccezione che per una figura minore che si occupava di aspetti meramente organizzativi; la politica del fare, con 101 punti programmatici. 

Se Giorgia Meloni va incontro al cittadino destrorso, conservatore che vive tutti i disagi della periferia, Alfio Marchini è la rappresentazione ideale di quella potente borghesia conservatrice che vive di rendita e mattoni, più il seguito di coloro che ambiscono a farne parte, ai quali di aggiungono coloro che da questa borghesia imprenditoriale vengono stipendiati. 

I consigli non richiesti per Giorgia Meloni.
Meno photoshop, mostrando tutti i segni di una militanza politica vissuta sul campo e sul territorio. Distaccarsi, almeno nei contenuti principali della sua campagna elettorale, da Matteo Salvini, marcando una differenza sostanziale almeno per quanto riguarda Roma. Di conseguenza, è necessario limitare le discese nella Capitale del leader leghista. Il concetto è che da questa sfida Capitale ci sta investendo più la Meloni che Salvini e che la prima rischia davvero di rimanerne indelebilmente scottata. Mentre Salvini ha solo da guadagnarci. Dare più spazio e voce ai giovani militanti provenienti dai municipi di periferia. E’ proprio dalle periferie, come fu per Alemanno nel 2008, che la Meloni dovrà necessariamente drenare voti per allargare il bacino del consenso, che rischia altrimenti di rimanere troppo legato ai soli attivisti e simpatizzanti. Imporre, quindi, come palcoscenico della propria campagna elettorale le periferie stesse. Le lande desolate di Roma, dove si vive il disagio dello spaccio selvaggio di stupefacenti, della prostituzione sulle strade sotto casa, della poca sicurezza data dalla scarsa presenza delle forze dell’ordine, del degrado oramai pluridecennale degli spazi verdi e della mancanza di spazi di aggregazione. E quindi, meno Terrazza del Pincio, più Quartaccio, Salaria, Tiburtina e Tor Bella Monaca.

I consigli non richiesti per Alfio Marchini.
Allargare il campo della presenza mediatica anche ad altri soggetti della Lista Marchini, altrimenti si ha l’impressione che questa sia emanazione del solo leader e di un Berlusconi in cerca della sua rivincita in ambito nazionale. Immagini meno patinata e più a contatto con la realtà ruvida e decadente della Roma post-Mafia Capitale. Il sorriso da piacione può risultare indisponente. Semmai, alternare espressioni di meditata e consapevole gravosità rispetto al ruolo per il quale ci si candida. Così come, non preoccuparsi sempre di mostrare il profilo migliore (quello sinistro). Meno fair-play e maggiore caratterizzazione da “new deal” che si va predicando, distanziandosi, almeno mediaticamente, dagli edorsement di Francesco Rutelli e di tutto quel mondo politico trasversale della Roma bene dei circoli tennis e canottieri. Contrastare, con un nuovo immaginifico da “indipendente”, la realtà che di fatto racconta di un candidato a sostegno del quale sono confluiti, come scrive Roberto Morassut, “tutta la vecchia destra romana e nazionale da Berlusconi, a Fini, a Storace, a Gasparri, a Mussolini e via scendendo per li rami”. Quest’ultimo è un punto cruciale per Marchini. Il rischio, altrimenti, è quello di apparire l’homo novus in compagnia di tanti vecchi boiardi. Un po’ come “Susanna e i vecchioni” del Tintoretto.

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