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Abitare Roma: le parole per dirlo

Abitare Roma: le parole per dirlo

A cura di Antonello Sotgia

Periferie? Abbiamo un problema

Questa volta l’1-2 non ha rappresentato la messa al tappeto dell’avversario. In questo caso abbiamo assistito, piuttosto, al getto della spugna. Parlo dei risultati elettorali a Roma.  E’ noto che solo le due zone centrali della città, i municipi 1 e 2 appunto, sembrano aver espresso (sia pure per una sola manciata di voti nel 2), una forma di resistenza alla volontà di cambiamento dimostrato dalla totalità di chi il territorio romano abita. Eccoli a terra.

Nella  costruzione del nostro abitare, legata in maniera così indissolubile al nostro stare al mondo, è evidente come il governo della città, il suo funzionamento, il proprio progetto complessivo, il fissare le regole e i paradigmi che tanto incidono su di noi, siano tutt’uno  con la nostra vita. Fatta di tanti momenti. Anche di scelte che, alle volte, coincidono con le elezioni.

Cosa c’è dietro il voto o anche, altrettanto legittimamente l’astenersi dal farlo, se non esprimere la volontà o meno di cambiare il tempo del nostro vivere? Il volere uscire di casa, per sentire come proprio, uno spazio pubblico e muoversi, con il medesimo senso di appartenenza, come nella propria stanza. Il volere una nuova linea di trasporti per raschiare tempo a quello morto dovuto agli spostamenti. Magari solo pochi minuti. Fondamentali. Da aggiungere invece che sottrarre alla nostra esistenza. Il sentirsi tu stesso  come possibile protagonista e progettista, e quindi, capace di batterti contro qualche intervento spacciato per “grande opera” ma che tu sai bene poter voler dire portare insieme a tanto cemento altrettante dosi massicce di sofferenza e disagio.

Guardando quelle mappe, riferite alla geografia del voto, si scopre che il fronte del no ad una rinnovata “governance” amministrativa sembra essersi asserragliato dentro e subito fuori dal centro antico. A ridosso delle mura. Più o meno intorno quella parte della città rappresentata come abitata nella prima pianta moderna di Roma incisa da Giovan Battista Nolli nel 1794. Quasi un ritorno, solo un po’ eccedente, rispetto quello straordinario esercizio di topografia moderna. 

Andando a vedere la carta dei risultati, dove sono colorati in rosso il territorio dell’1-2 e in giallo tutti gli altri, ci accorgiamo subito di come avesse ragione Hermann Melville, quando metteva in guardia dai disegni cartografici solcati nelle mappe. “Mentono sempre “perché “ i veri posti non ci sono mai“. 

Non sembra avere ragione l‘autore di Moby Dick? Oggi cosa è centro? Cosa è periferia?

Basta guardare a quanto è uscito fuori dalle urne per capire che è in atto un cambiamento.

L’istituto di ricerca Cattaneo (Bologna) analizzando i recenti  risultati elettorali (non solo romani) ha significativamente chiamato il proprio rapporto di analisi tra marginalità sociali e voto ai partiti : “Periferie abbiamo un problema”.

Agli analisti dei flussi elettorali, che abbiamo imparato a conoscere nelle maratone televisive, il compito di spiegarci il rapporto (i rapporti) tra “periferia sociale” e “periferia geografica”. Per chi la città attraversa, vivendola e subendola, appare evidente che, in questo caso, la geografia del territorio non sembra  più funzionare. 

Ad iniziare dalla parola stessa periferia. Per i greci, che l’hanno inventata, periphéreia era proprio lo stare intorno a qualcosa: ad un centro. Come ad indicare che delle due figure non solo l’una non poteva esistere senza l’altra, ma che avrebbero trovata la propria esatta rappresentazione formale costruendosi a loro volta quale reciproca alternativa.

La città contemporanea in cui viviamo da molto tempo ha puntato alla non realizzazione di questo teorema. A combatterlo, sia dal punto di vista urbanistico che di quello economico-sociale specifico che lo determina, quando  l’organizzazione del territorio delle città sembrava andare in quella direzione. 

Questo vale per Roma. Vale per le altre (città). A Roma, le mappe però questa volta hanno deciso di non nascondere nulla. Senza reticenza alcuna quelle immense macchie gialle (la maggioranza della città) ci stanno ad indicare che da quei vasti territori si sta muovendo la volontà di  riscatto a partire dalle forme in cui è stato volutamente “dimenticato” il loro abitare. I tristi, solitari e ora circondati scampoli rossi stanno a mostrare  l’estrema resistenza a voler continuare una politica economica ed urbanistica che ha nascosto i propri privilegi proprio attraverso la narrazione della “paura delle periferie”. 

Siamo ai “lavori in corso”.

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