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Venerdì, 19 Aprile 2024
Abitare Roma: le parole per dirlo

Abitare Roma: le parole per dirlo

A cura di Antonello Sotgia

Il McDonald a Borgo Pio e l'identità della città: quanto pesa l'hamburger del Papa?

Sono le parole prima dei progetti a costruire le trasformazioni urbane. Alla parola affidiamo il compito di spiegare la ragione di quello che il progetto, attraverso il disegno, sarà chiamato a modificare. Quando poi si mette mano a qualcosa che esiste, la parola serve innanzitutto a descrivere quello che c’è e il perché lo si vuole cambiare. L’architettura, prima ancora che nei disegni, è nata sui trattati. Sono le parole che ci aiutano a farci trovare un posto nello spazio urbano che vediamo mutare attraverso un intervento o un’intenzione progettuale.

 La presa di parola da parte dei più permette loro di partecipare, anche se non materialmente impegnati in qualche specifico atto costruttivo, alla narrazione collettiva attraverso cui le città vivono e continuamente si rinnovano. Non solo con grandi opere. Può avvenire, avviene anche cambiando solo la destinazione d’uso di qualche luogo, modificando qualche parte di un edificio esistente e, soprattutto, attraverso quella straordinaria operazione rappresentata dalla “manutenzione” urbana.

Parlo dell’opera di messa in sicurezza del patrimonio edilizio, ma anche di conservazione di quel sistema di relazioni tra costruito e vuoto, tra elementi artificiali e naturali, tra le case e le strade che costruiscono l’identità dei luoghi.  Paghiamo l’aver rinunciato a questa pratica con la progressiva scomparsa di sempre più elementi d’identità urbana. A Roma questo è avvenuto ovunque gli spazi commerciali sono andati ad aggiungersi gli uni con gli altri modificando, anche i palazzi più importanti, nel loro elemento di mediazione con la città rappresentato dall’attacco a terra, le bucature a ridosso dei marciapiedi dove, spesso, sono ubicati i negozi. Nelle zone di maggior afflusso turistico il fenomeno è ancora più evidente. 

Sono rimasto così molto colpito che Stefano Fassina, deputato e, al tempo stesso, presente in consiglio comunale, si sia inserito in un dibattito cittadino sull’apertura di un locale di ristorazione veloce nei pressi di San Pietro (via del Mascherino) trovando le parole per dire il proprio no dicendo che, con l’apertura del Mc Donald’s, si “perderebbe l’identità dei luoghi”. Il deputato e consigliere comunale, come è suo compito, ha rappresentato al Parlamento e al Consiglio Comunale, le sedi del suo doppio lavoro, questa preoccupazione.

In attesa delle risposte fornisco al deputato e consigliere i risultati di una mia piccola ricerca limitata alla sola via dove l’Aspa (Amministrazione del patrimonio della santa sede) ha intenzione di affittare 532 metri quadri commerciali all’americana spacciatrice di hamburger. Queste le presenze commerciali confinanti. Due pizze al taglio. Tredici negozi di souvenir (alcuni di loro vendono pure alimentari). Un orafo specializzato in arte sacra. Sei bar con annessa tavola calda. Due ristoranti. Una banca.  Un negozio di abbigliamento.  Il tutto “condito” da apposita cartellonistica manuale “oggi porchetta” e “prezzi scontati”. Scomparsa la galleria d’arte per far posto ad un commissariato ed alle sue tante “volanti” ammassate li davanti. Solo i più anziani ricordano l’esistenza, nella stessa via, di un leggendario venditore di spazzole. 

Siccome il deputato consigliere è stato nella sua precedente vita anche viceministro dell’economia, forse potrebbe aggiungere, se le interrogazioni accettano una postilla, che dividendo il prezzo dell’affitto dichiarato in 30.000 euro per il numero dei 532 metri quadri messi a disposizione dall’Aspa, per ogni metro quadro commerciale l’affitto sarà di oltre 56 euro a metro quadro/mese. 

Per il peso di molti meno euro sono scomparsi dalla stessa via il venditore di spazzole e i tanti piccoli negozi che avevano costruito l’identità di Borgo alla base di quell’abitare popolare finito ormai da molto tempo. Mettere mano alla ridefinizione degli spazi commerciali da ospitare nell’attacco a terra degli edifici, al loro essere legati alla strada e quindi alla vita, al posto che a farlo sia il lievitare incessante dell’affitto drogato dal mercato, potrebbe far parte di quel processo di manutenzione urbana con cui la città contemporanea dovrà ritrovare la perduta identità. 

Dobbiamo trovare le parole per dirlo e Stefano Fassina potrà aiutarci. “Yankee go home” non credo basti a ricostruire il nostro abitare. 

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