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Abitare Roma: le parole per dirlo

Abitare Roma: le parole per dirlo

A cura di Antonello Sotgia

Trastevere

"Fantasmi urbani" abitano la Capitale: l'America e gli altri cinema di Roma

Una volta erano cinema oggi sono vuoti in attesa di diventare case o supermercati. A Trastevere la lotta del cinema America occupato ricorda che "un cinema è un cinema"

All’ultimo festival del cinema di Roma ha fatto capolino la facoltà di Architettura.  Non per presentare un progetto, ma per raccontarci di quelli che non ci sono più: le quaranta sale cinematografiche scomparse. I bravissimi studenti di Valle Giulia con un video (fantasmi urbani visibile in rete) sono andati a vedere  e documentare che fine avevano fatto quest’importanti “individui edilizi” chiusi da tempo,  trasformati  in altro, in attesa di diventarlo.

Sono arrivati però in ritardo. Infatti, ai quaranta casi  censiti da loro, sono da sommare i tantissimi che, nell’indifferenza assoluta ad iniziare dalla fine degli anni 70 erano già diventati banche o piscine. Come allora il mercato richiedeva e il Comune assentiva.   I 120  studenti esploratori, alla delicata attenzione filologica al costruito - spesso esemplari testi di architettura come l’Airone di Libera o  il Corso di Piacentini- hanno unito un’indagine indirizzata a capire  per ognuno di quei manufatti,  il loro  rapporto con il tessuto sociale e urbano  che li accoglie.

Fin qui la ricerca che ha un ulteriore merito: quello di metterci in guardia.  Attenzione, ci dicono disegni e fotografie, i killer delle  sale cinematografiche, hanno buon gioco a rendere le sale  in  altrettanti  fantasmi. I cinema dismessi sono fantasmi, infatti, che non incutono timore.  

Non ci fanno paura, perché per tanto tempo sono state proprio quelle sale  ad accompagnare per mano, a far aprire gli occhi, a somministrare stupore, a spacciare dosi massicce di emozioni a generazioni e generazioni  che, una volta chiusa la luce, sembravano quasi entrare dentro quelli schermi per poter abitare il mondo. Il cinema raccontandoci il mondo permette a noi di fare altrettanto.

E quelle  sale permettevano di farlo in modo speciale, accogliendoci come in una grande pancia, rendendo amico il buio, offrendoci d’estate la visione del cielo, quando molti di quei tetti  si aprivano e dalle poltrone  i nostri pensieri le nuove immagini su quello che si stava vedendo si appoggiavano alla nebulosa di fumo (sì al cinema si fumava) che sollevandosi dalle poltrone puntava direttamente alle stelle.

Anche se stanno lì chiusi, i cinema, non ci spaventano perché ogni pezzo delle loro facciate ci ricorda  che varcando quella soglia ognuno di noi, proprio lì, è stato iniziato al  “meraviglioso urbano” che è fatto dalla capacità di legare tra loro storie, immagini, pensieri, desideri, stupore, lotte….

Ora   queste macchine fantastiche  si vogliono trasformare in case  e la legislazione urbanistica, quella che dovrebbe “dare sostanza alle cose sperate”, sembrerebbe non aver nulla in contrario.

Dove non arriva l’urbanistica arrivano i cittadini. E’ il caso  di Trastevere e del cinema America che, occupato da un anno  da un gruppo di giovani studenti e precari è stato capace di far tornare a vivere quei locali ricordandoci semplicemente che “un cinema è un cinema”.

L’affetto, la solidarietà, la partecipazione  con cui il quartiere e la città ha riconosciuto questo emendamento di fatto  alle rigide norme tecniche del piano regolatore,  che ha come  proprio primo comma “la città non è una merce”,  ha riunito nella giornata di lunedì 17 febbraio i tanti che si riconoscono nella necessità (e nella lotta) di non barattare l’elegante disegno di quella sala, con l’anonimo condominio con cui si vorrebbe sostituire. Ed è apparso evidente a tutti che L’America non è mai morto, perché in quest’anno di occupazione  ha espresso una straordinaria ricchezza sociale (seminari, sale studio, proiezioni, incontri,biblioteca..) capace di riattivare  la programmazione delle emozioni.

E’ stata anche l’occasione per presentare un bel progetto di restauro/rivitalizzazione frutto di un lavoro partecipato coordinato da una giovane architetto spagnolo: Cristina Mampaso, che ci ha mostrato come riprendere le parole di quell’architettura. Si perché l’architettura è tale quando riesce a parlare. Come è il caso dell’America. Questo progetto sa trovare le parole per dirlo. Ad iniziare dal promuovere una richiesta al Ministero dei Beni Culturali per iniziare le procedure di dichiarazione di interesse culturale del cinema America per cui si stanno raccogliendo le firme. (https://www.americaoccupato.org/)

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