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Il lungo lunedì di Rebibbia: dalla rivolta dei detenuti alle tensioni con la polizia dei famigliari

La lunga giornata di Rebibbia: rivolta nel carcere, famigliari all'estero e tiburtina chiusa per ora. In serata l'incontro tra una delegazione dei parenti con la direzione

Prima la rivolta dei detenuti all’interno del penitenziario con materassi e cassonetti date alle fiamme. Poi le proteste dei famigliari all’esterno con attimi di tensione tra loro e la polizia chiamata a presidiare l’ingresso di Rebibbia.

Un pomeriggio ad alta tensione quello che si è consumato lunedì 9 marzo, con la via Tiburtina chiusa al traffico per ore. Il motivo? Il Coronavirus e il timore che all’interno delle celle non vengano mantenute le accortezze del caso, soprattutto per chi ha patologie gravi. “Vogliamo informazioni sui nostri famigliari altrimenti non ce ne andiamo”, chiedono al megafono. Insieme a questo l’indulto e amnistia per chi ne ha diritto.

Dopo le tensioni ottengono un incontro con la direzione del carcere a cui parteciperà una delegazione di famiglie e due avvocati. “Ci hanno rassicurato che nessuno è in gravi condizioni di salute - spiega uno dei famigliari al termine dell’incontro -. I colloqui sono sospesi ma si stanno attivando per fare dei collegamenti via skype, mentre i pacchi e i soldi possiamo sempre farglieli avere. Ma noi aereo avanti a chiedere misure domiciliari per chi sta male, la battaglia contro questa detenzione illegale va avanti”. Per questo è stata lanciata una manifestazione sotto al ministero di Giustizia alle 12 di martedì 10 marzo.

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